È passato poco meno di un mese dalla mia partenza sulla via Francigena. Quella che ho vissuto è stata, come ogni pellegrinaggio, un’ esperienza speciale, e solo ora riesco a vederla nel suo insieme, inizio ad intravederne i frutti e mi sembra bello condividere qualche ricordo, qualche pensiero con voi.
Come un po’ tutti sapete l’ estate scorsa con le mie due fide compagne Silvia e Giulia ho percorso un pezzetto del Cammino di Santiago. È stato un sogno che diveniva realtà! Da qualche anno si diceva “un giorno lo faremo!”, e poi quel giorno è arrivato, e come tute le tappe importanti che si attendono con fede è stato al momento giusto, con le persone giuste… e sebbene non tutto sia andato come avrei voluto, (ho dovuto mio malgrado imparare cos’ è una tendinite!), … beh nonostante ciò, credo che il cammino non sarebbe potuto essere più perfetto e ricco di insegnamenti! È stato durante quel primo cammino che ho capito che i giorni passati a camminare con lo zaino in spalla, con persone sconosciute, ma dal cuore limpido, magari lamentandosi ogni tanto, o forse tanto e basta, faceva per me… anzi, meglio, era salutare per la mia fede.
È stato con questi pensieri nel cuore che ho pronunciato quel sì che mi ha portata ad Acquapendente, punto di partenza della mia avventura. La via Francigena non l’ avevo cercata quanto Santiago, non avevo coltivato il sogno. Venivo da un periodo turbolento: la tesi da scrivere, un po’ di preoccupazioni in famiglia… Cercavo in questo nuovo cammino quello che avevo trovato in Spagna un anno prima: tanti sorrisi e tante persone a camminare con me, Dio che si rifletteva sui loro volti per non farmi mai sentire sola, per rendermi consapevole che in un modo o nell’ altro le cose vanno a posto, che è bello aprirsi al mondo, sentirsi libera col vento che dall’ oceano ti accarezza il viso e ti invita a tornare a casa da un’ altra via, diversa da come sei giunta fin lì. Questo cercavo verso Roma, ma mai parole furono più profetiche di quelle di Fra Giovanni, una delle nostre guide, che al telefono qualche ora prima di ricongiungersi a noi disse: “Dimenticatevi di Santiago!”. Senza dirlo apertamente, per non spaventare noi pellegrine-ricottine, voleva dire che la Francigena è molto più faticosa e calda, ma io qualche tempo dopo ho interpretato in modo diverso quella sua affermazione. Se Santiago mi ha insegnato la spensieratezza, la gioia di vivere e la fiducia, il cammino verso Roma mi ha dato una lezione più dura. I momenti in cui credevo di non farcela non sono affatto mancati, ma per fortuna non è mancata mai nemmeno una mano che, stretta alla mia, nel caldo torrido mi dava la forza di mettere un piede davanti all’ altro. Più volte ho dovuto fare i conti con una me che non mi piaceva. Se allargo lo sguardo a questo 2007 mi accorgo che molti episodi letti come pagine di uno stesso libro assumono un significato nuovo e il cammino verso Roma ne è parte. Se è vero che non dobbiamo temere mai, è anche vero che a volte ci dobbiamo per forza confrontare con le difficoltà, scoprire il nostro modo di reagire, avere il coraggio di ammettere la nostra debolezza, chiedere aiuto e soprattutto, nonostante la paura di non farcela, rimetterci lo zaino in spalle e continuare a camminare.
Non fraintendetemi però! Fin qui mi accorgo che ho parlato solo di fatica, difficoltà… invece c’ è stato molto molto di più! A condividere con me le avventure di quei sette giorni a zonzo per il Lazio ci sono stati degli splendidi Franciggeni-Puzzoni che hanno portato il buonumore con le loro performances da cabaret, il clero francescano, che pure non scherzava per via di macchiette e battute pungenti e che al tempo stesso ha fatto di tutto per non farci mai mancare il sostegno della Parola e la testimonianza di una vita vissuta con gli altri e per gli altri.
Vorrei raccontarvi mille aneddoti spassosi: di quelle sei o sette volte in cui abbiamo sbagliato strada (e pur camminando con pellegrini diversi io c’ero sempre con gli erranti vagabondi che non sapevano leggere le cartine!); delle ore passate a cantare tutto il repertorio di Battisti, con testi rigorosamente inventati, sotto la finestra delle suore; del guado del torrente e della costruzione di ponti inutili; della processione di mille mila chilometri su e giù per Campagnano Romano portando sulle spalle, per fortuna non le mie, la statua di San Giovanni “decollato”… in realtà credo che le parole non bastino e, come per Santiago, credo che i racconti possano esprimere solo in minima parte le sensazioni che ho provato.
Molti di voi sono stati al meeting a Verona, alla GMG o all’ Agorà di Loreto pochi giorni fa. Non voglio dire che l’ uno sia meglio dell’ altra, anche se per quel che mi riguarda, col passare del tempo, ho capito cosa fa per me e cosa no, ed è alla luce della mia piccola esperienza che vi consiglio un cammino. Certo è più impegnativo e faticoso però ne vale la pena. Per conoscere davvero voi stessi, per gustare la bellezza della natura, per avvicinarvi a persone sconosciute che nel giro di due ore potreste chiamare fratelli, per scoprire un pezzetto di Verità quando spesso la vita ci butta in faccia solo un mucchio di inutilità, e noi neanche ce ne accorgiamo, credetemi, ne vale la pena.
Vi saluto con un apologo arabo che mi ha inviato Anna, una allegrissima pellegrina santiaghese.
“Esistono tre tipi di viaggiatori.
C’è chi procede coi piedi:
i suoi passi si impolverano su piste assolate, si inerpicano su erte
scoscese, si riposano in valli, oasi e locande.
E’ il mercante: i cui percorsi sono retti da scopi precisi e il cui viaggio
è sempre e solo un transito: l’importante è arrivare per fare, non
attraversare, conoscere, incontrare.C’è poi chi avanza per strade e città con gli occhi:
costui vuole scoprire e sapere, sostare e conoscere, perdere lo sguardo
nell’orizzonte luminoso di un panorama.
E’ il sapiente: l’importante è conoscere, arrivare non conta.Infine, c’è chi viaggia col cuore:
egli non si accontenta di camminare, visitare, sapere, ma vuole vivere con
gli uomini e le donne delle regioni attraversate, ascoltarli, parlare con
loro e “mettere in luce la perla segreta di Dio” che dappertutto s’annida.
E costui – conclude l’apologo – è il pellegrino:
per lui decisivo è incontrare”.