Premessa
Forse non tutti sanno che S. Pietro era abitato fin dalla prima età del Ferro. O che fu un piccolo ma importante centro romano. Io cercherò di spiegarvi tutto in modo semplice e divertente, raccontandovi della storia del nostro paese così come è emersa dalle mie ricerche per la tesi di laurea. Scoprirete, come ho scoperto io, che sono avvenuti nel tempo molti ritrovamenti nella nostra frazione e alcuni sono veramente particolari!
Preistoria
In realtà quello che è stato trovato a S. Pietro di preistorico è solo un anello o un braccialetto (nessuno ha ancora capito cos’è), scoperto casualmente da don Giuseppe Trecca nel lontano aprile 1880, probabilmente nei pressi di S. Salvaro. Il Trecca lo descrisse come un anello del diametro di 4 cm di pasta vetrosa nera, venato in bianco e in giallo. Non si sa molto di questo manufatto che dovrebbe trovarsi (ma nessuno si è mai preso la briga di controllare) al Museo di Castelvecchio a Verona. Pensate che addirittura un altro storico locale, il Boscagin, lo attribuisce “sicuramente all’età della pietra”.
Che questo oggetto sia o no una testimonianza dell’antichità del nostro paese a noi interessa poco. Siamo così legati alle leggende popolari che ci dispiacerebbe quasi che la notizia fosse smentita da eventuali ricerche più approfondite!
Ma veniamo ora al bello…
Epoca Romana
Iniziamo con qualcosa di famoso… San Salvaro. La maggior parte della gente che non si intende di arte tende a pensare che la chiesetta sia romana, mentre in realtà è ROMANICA, cioè costruita in uno stile architettonico che era caratteristico nel Medioevo. Quindi la costruzione in sé non c’entra nulla con ciò di cui stiamo parlando. Ma dentro, e vicino, sono stati trovati numerosi manufatti, che sono da considerarsi ROMANI (NB: Il periodo romano va convenzionalmente dall’anno 754 avanti Cristo all’anno 476 dopo Cristo, dopo il quale inizia il Medioevo).
Facciamo come se fosse un giro turistico: stando fuori dalla chiesa si possono notare alcuni particolari insoliti…
Cosa ci fa una specie di colonna nel praticello? Semplice, questo cippo in pietra era probabilmente un segno di confine romano (veniva messo agli incroci delle strade). Fu trovato sotto le scuole lì vicine, quando furono costruite (quindi è un ritrovamento abbastanza recente), e poi don Renzo Piccinato lo piantò nel cortile della chiesa. Ottima scelta direi, perchè almeno non è andato disperso. Dovete sapere infatti che, pur non essendoci scritto niente sopra, il cippo è importante in quanto ci fa sapere che il territorio dove sta oggi la chiesa era CENTURIATO, cioè tutta la zona era divisa da una rete molto regolare di strade e fossi che si incrociavano perpendicolarmente. Sapete, i romani erano dei gran perfezionisti, e volevano avere tutto sotto controllo, quindi facevano il reticolato stradale geometrico e chiamavano gli incroci “quadrivium” (cioè luogo in cui si incrociano perpendicolarmente due strade).
Facciamo qui una piccola divagazione spiegando che a S. Pietro la rete centuriale era estesa a tutto il paese, e per dimostrarlo useremo dapprima i toponimi (cioè i nomi di alcuni luoghi). Allora, da “quadrivium” il nome fu nel tempo corrotto e divenne “Corrubio”. Vi dice nulla? Abbiamo quasi in centro paese una piazzetta con annessa via, che si chiama Corrubio (quella per andare ai Casoni per intenderci). Fatalità è proprio un incrocio! E poi che dire di “Crosara”, che altro non è che un incrocio perpendicolare di due strade? C’è una località che porta questo nome, ai Casoni!
Ma se volete che continui a spiegarvi quali altre testimonianze ci sono della divisione dei campi in epoca romana vi basterà seguire questo discorso. Allora, gli antichi romani credevano che gli incroci fossero “sacer”, cioè più che sacri, intoccabili. Dove c’erano, quindi, venivano messi dei segni come quello che abbiamo visto prima. Nel tempo queste piccole aree sacre vennero trasformate dai nostri antenati cristiani in capitelli, e poi anche in pievi e chiesette talvolta. Tornando al discorso di prima per esempio il capitello della Sacra Famiglia dei Casoni si trova sull’incrocio della località Corsara. Sarà un caso? Forse, ma forse no…
Abbiamo altre tre chiese a S. Pietro localizzate in posti strategici. Sto parlando della chiesetta delle Mezzane, a nord di S. Pietro, di quella della Ponzina, sempre a nord e di quella della Bragadina, senza contare la chiesetta della Paganina che è a Cerea, ma decisamente vicina al confine con il nostro paese. Bene, se ora guardate la cartina che ho messo qui sotto vedrete che ho localizzato con i cerchi rossi le chiesette, con un cerchio blu il capitello della Crosara e con delle linee verdi le strade che sono abbastanza dritte e che si suppone possano essersi sovrapposte nel tempo alle vecchie strade romane. Se allungassimo ipoteticamente tutte le linee verdi ne risulterebbe una griglia, che altro non è che la divisione centuriale attuata in età romana.
Continuiamo ora con il nostro excursus su S. Salvaro. Restando sempre fuori dalla chiesa possiamo notare altri due particolari interessanti: una testina di notevole fattura scolpita in pietra bianca infissa nell’archetto superiore della facciata della chiesa e un bassorilievo che raffigura un leone che insegue un cavallo o un cane (secondo la vostra personale interpretazione). Entrambi i manufatti sono stati posti lì dove sono da don Trecca, durante il restauro-rifacimento che ha eseguito nel primo Novecento alla chiesa. Sono di epoca romana, di I o II secolo d.C. Probabilmente la testa faceva parte di una qualche statua.
Ora possiamo entrare… ci sono un sacco di elementi scolpiti in pietra, ma a noi non interessano, sono medievali o addirittura postumi! Persino la testina posta sopra la lapide degli offerenti, nella sezione sopra la scalinata a destra dell’altare, non è romana. Molti hanno voluto vederla come una parte di una scultura romana, ma è troppo rovinata e inoltre la capigliatura che si intuisce non sembra essere di epoca romana (non era mica alla moda al tempo, insomma).
Però se andiamo giù in cripta le cose si fanno più interessanti. Non tutto è fatto di laterizi… e se guardiamo bene ci sono degli elementi che sembrano essere piazzati in giro senza un senso logico. E’ tutto materiale di spoglio, cioè elementi di una qualche struttura romana (si è pensato ad un tempietto o ad un arco sepolcrale di qualche personaggio facoltoso), che sono stati riutilizzati nel Medioevo per costruire la chiesa e lì sono rimasti fino ad oggi. Prima di tutto noterete le due semicolonne scanalate con capitelli corinzi in travertino, di buona fattura e ottimo stato di conservazione. Poi vi sono un capitello scanalato, una cornice decorata da un motivo floreale e un frammento di trabeazione con fregio a girali vegetali.
Dovrebbe poi esserci una iscrizione, vista dal Trecca (io non l’ho vista, provate a cercarla voi), che ricorda il costruttore del tempietto romano o forse più probabilmente il defunto a cui era dedicato l’arco sepolcrale. Il testo dell’iscrizione sarebbe questo:
LIVS P F
che, sciolto correttamente, sarebbe: [Iu]lius o [Aemi]lius P(auli) f(ilius), cioè Giulio o Emilio, figlio di Paolo. Wow, abbiamo il nome di un nostro antenato!
La chiesa sarebbe stata costruita, secondo il Trecca, usando anche blocchi di trachite euganea, che i romani usavano per pavimentare le strade (e questo riconfermerebbe che lì vicino passava una strada). Se seguiamo poi gli scritti del Trecca egli ci dice che all’esterno della chiesa fu trovata una lunga tomba in laterizi. Dopo don Giuseppe Trecca fece la sua apparizione un altro appassionato di storia locale, Alessio De Bon, il quale si intendeva di storia romana più del Trecca ed eseguì anche degli scavi, con recupero parziale del materiale, sempre nella zona di San Salvaro, in quelli che erano i Fondi dei signori Marini, nel 1929 e nel 1939, dopo un rinvenimento casuale nel 1926. Nei suoi scavi egli rinvenne tracce di fondazioni, pavimenti in cotto, superfici in aciottolato, frammenti di marmo, tessere musive, monete di bronzo (risultate però illeggibili), corredi di alcune tombe di inumati e cremati e un antico tracciato viario. Voi subito direte: “E dov’è tutta ‘sta roba?”. Alcuni oggetti sono oggi conservati al Museo Fondazione Fioroni, ma in parte il materiale è disperso, e i resti di abitazioni sono interrati. Il sito è stato interpretato come area funeraria vicina ad un insediamento con infrastrutture di funzione non precisabile. Se non mi credete basterà guardare le foto che vi ho messo qua sotto, scattate dallo stesso De Bon e oggi conservate al Museo Fondazione Fioroni, che mostrano gli scavi da lui condotti.
Un altro rinvenimento casuale di tipo simile è avvenuto presso Fondo Orlandi (località che io non sono riuscita a determinare, ma che presumo si trovi sempre nei pressi di S. Salvaro) i primi giorni dell’aprile 1880, a circa un metro dal piano campagna. Qui si rinvennero una cuspide di lancia e tre coltellini a lama serpeggiante in ferro, un pendaglio in argento, quattro vasetti di ceramica scarsamente depurata in argilla rossa, tre monete di bronzo, una di Nerone (54-68 d.C.), una di Traiano (98-117 d.C.) e una di Settimio Severo (193-211 d.C.). Anche questo sito è stato interpretato come possibile area funeraria (insomma, era tutto un grande cimitero!).
Ultimo rinvenimento in ordine cronologico, ma degno di essere inserito qui perché importante testimonianza della frequentazione in epoca romana dei territori sampietrini è un’epigrafe (e vai con ‘sti morti…). Naturalmente per epigrafe intendo un messaggio funerario inciso su pietra, non nel senso che intendiamo noi oggi. E’ attualmente conservata al Museo Fondazione Fioroni ed è stata oggetto di un solo studio finora. La lapide è stata rinvenuta nel 1989 dall’- architetto Aladino Napoleone Mazzali durante i lavori di costruzione della superstrada Verona-Rovigo, all’altezza della rotonda per andare a Cerea. E’ in pietra bianca dei lessini e termina con un timpano (la parte triangolare in alto) che contiene una testina femminile affiancata da due rosette. E’ alta 98 cm, larga 59 e spessa 13. E’ stata datata verso la prima metà del I secolo d.C. L’iscrizione è:
SEX PONTIVS DIOCARIS F ISAVRICVS
che sciolta sarebbe: Sex(tus) Pontius Diocaris / f(ilius) Isauricus, cioè vi viene menzionato il defunto Sesto, ricordato come figlio di un certo Diocares. In realtà probabilmente la stele non era finita, perché il testo appare in alto e c’era ancora posto sotto per scrivere gli altri defunti di famiglia. Il fatto interessante è che sembra che questo personaggio, o la sua famiglia, provenisse dall’Anatolia (Asia Minore). Non è purtroppo possibile, da un testo così esiguo, sapere le motivazioni per le quali padre e figlio si trovassero in queste zone, se fossero solo di passaggio o avessero scelto queste zone come dimora. Il padre era quasi sicuramente un ex schiavo liberato, mentre il figlio era a tutti gli effetti un cittadino romano. Pensate che tutte queste notizie gli studiosi sono in grado si estrapolarle da un nome e basta! Ecco come i nostri antenati ci insegnano pure a non essere razzisti, perché anch’essi venivano da zone lontane (basti pensare che tutta l’Italia del nord fu interessata in epoca romana da una massiccia migrazione di coloni provenienti dall’Italia del sud, alla ricerca di terreni fertili da coltivare).La mia spiegazione termina qui, spero di essere stata sufficientemente chiara, altrimenti accetto suggerimenti, critiche e domande al mio indirizzo di posta elettronica: laura.tognetti@libero.it
Scrivetemi pure anche solo se vi serve la bibliografia delle notizie da me citate.